Un lavoro sul terreno attento e meticoloso, da portare a termine nel più breve tempo possibile per assicurarsi di rilevare, fotografare e catalogare tutti i piccoli o grandi effetti che i forti terremoti producono sull’ambiente. Il Gruppo Operativo EMERGEO dell’INGV opera da quasi venti anni grazie a un team multidisciplinare composto da circa un centinaio di esperti distribuiti su tutto il territorio nazionale: l’obiettivo fondamentale del team è studiare gli effetti superficiali degli eventi sismici e fornire indicazioni e risposte per scopi scientifici e di protezione civile.
Un lavoro di squadra che si svolge in Italia e nell’area mediterranea, per dare supporto alla ricerca e affiancare i cittadini nella comprensione delle cicatrici che i terremoti lasciano sotto gli occhi di chi vive nelle aree colpite.
Abbiamo intervistato Paolo Marco De Martini, ricercatore dell’INGV e Coordinatore nazionale di EMERGEO, per conoscere meglio le attività del suo Gruppo Operativo e farci raccontare gli episodi che più lo hanno colpito ed emozionato nelle campagne sul campo svolte in occasione delle emergenze sismiche degli ultimi anni.
Paolo Marco, in cosa consiste il lavoro del Gruppo Operativo EMERGEO?
EMERGEO si occupa del rilievo degli effetti dei terremoti e dei maremoti sull’ambiente, in Italia e nell’area mediterranea. In particolare, di terremoti da una certa magnitudo in su, in grado cioè di generare effetti superficiali primari (ovvero che producono delle deformazioni permanenti, fagliazioni e fratturazioni) o legati allo scuotimento sismico (attivazione di frane, fenomeni di liquefazione, maremoti).
Quando nasce e qual è la sua principale mission?
EMERGEO nasce in modo informale nel 2002, a seguito del terremoto del Molise, per poi essere ufficializzato l’anno seguente. La sua mission è quella di fornire nel minor tempo possibile una dettagliata descrizione degli effetti co-sismici dei terremoti, sia a fini scientifici che di protezione civile.
Voglio ricordare che, per fare questo, sul sito web del Gruppo Operativo (
Da quanto tempo ricopri il ruolo di Coordinatore di EMERGEO?
Dalla fine di agosto del 2016. La figura che svolgeva il ruolo di Coordinatore in quel momento, Daniela Pantosti, era anche Direttore del Dipartimento Terremoti dell’Ente: si trattava di un incarico istituzionale troppo importante e gravoso per consentirle di proseguire anche alla guida del Gruppo Operativo.
Voglio sottolineare che EMERGEO è organizzato internamente con un vero e proprio gruppo di coordinamento composto da sei persone: io sono la figura che nel 2016, per necessità logistico-organizzative, è stata scelta proprio dal gruppo come Coordinatore nazionale, insieme al mio vice, Stefano Pucci.
Accanto a noi operano altri otto colleghi che consideriamo dei “contatti di Sede”, ovvero persone che localmente sono in grado di gestire un’emergenza e soprattutto di coadiuvare il coordinamento nazionale a gestire una crisi a seconda del territorio in cui si verifica.
Cosa significa per te ricoprire questo incarico?
È sicuramente un onore grandissimo. Seguo da tanti anni le emergenze sismiche in Italia, a cominciare dal 1997 con il terremoto di Colfiorito-Assisi, conosco quindi molte delle persone che lavorano in questo ambito e ho collaborato con moltissimi di loro: divenire il loro Coordinatore nazionale è senz’altro motivo di grande orgoglio.
Ma è anche una responsabilità, che in linea generale tendo a condividere: per questa ragione esiste il gruppo di coordinamento. Tuttavia, lavorando in emergenza, possono esserci delle situazioni in cui la decisione richiede una tempistica per cui mi prenda la responsabilità di dare personalmente e tempestivamente delle risposte.
Quanti colleghi fanno parte del tuo Gruppo?
Ben 98 colleghi, che si sono uniti a EMERGEO su base volontaria. Siamo un gruppo trasversale, che abbraccia tutte le Sezioni e le Sedi dell’Istituto e include esperti di vari campi: rilevatori, esperti GIS, esperti di droni, personale amministrativo che ci supporta nella gestione e nell’organizzazione delle missioni… È un grande lavoro di squadra!
C’è stato, in questi anni, un aneddoto avvenuto nell’ambito delle attività di EMERGEO che ti piacerebbe raccontare?
Sì, ce ne sono stati molti. Uno in particolare risale al 2009: il terremoto de L’Aquila ha colpito moltissimi piccoli centri della zona con fenomeni di fagliazione superficiale. Ciò significa che la rottura del terremoto arrivò in superficie, la ruppe e, ad esempio, nel paesino di Paganica, danneggiò anche l’acquedotto. Questo provocò a sua volta l’allagamento di alcuni garage, di ambienti cittadini, creando non pochi disagi. Noi andammo a studiare a fondo quell’area, trattenendoci lì per diversi giorni: un pomeriggio, mentre eravamo ancora al lavoro, uscì dalla sua casa una gentilissima signora che ci portò the e biscotti, ci ringraziò e ci disse che era molto bello vederci lì a dargli una mano. Il riconoscimento da parte dei cittadini della nostra attività di ricerca emergenziale come ‘dare una mano’ è stato un momento bellissimo.
E l’episodio professionale più importante per te?
Sicuramente quando, durante l’emergenza del Centro Italia del 2016, dopo la scossa di Norcia del 30 ottobre (la più forte registrata nel nostro Paese dopo quella dell’Irpinia di quarant’anni fa), ci siamo resi conto della difficoltà di portare a termine tutto il rilievo in tempo poiché stava arrivando l’inverno che, con la pioggia e le nevicate, avrebbe modificato o cancellato alcune delle deformazioni del suolo prodotte dal sisma. A quel punto abbiamo deciso di aprire l’attività di EMERGEO a Università e Enti di Ricerca sia italiani che europei: così facendo siamo riusciti a pubblicare un dataset di deformazioni con oltre 7.000 misure e una mappa di dettaglio di tutte le rotture rilevate, che portava la firma di 130 colleghi appartenenti a 25 istituzioni diverse. Da quel database e da quella mappa sono nati nel tempo tanti lavori scientifici.
EMERGEO in quell’occasione ha gestito l’organizzazione di tutto il lavoro: dalle zone da rilevare (suddivise in nove settori diversi) al criterio con cui effettuare i rilievi, fino alla modalità di condivisione dei dati, garantendo sempre la sicurezza di tutto il personale. Il coordinamento di questo enorme sforzo comune è stata un’esperienza importantissima.
La campagna per te più significativa, a livello personale?
Senza alcun dubbio quella del 2016 che raccontavo prima. È stato il terremoto più importante degli ultimi quarant’anni e il primo che ho vissuto e affrontato da Coordinatore nazionale di EMERGEO: la prima scossa della sequenza sismica avvenne ad Amatrice il 24 agosto, la mia nomina arrivò nel giro di una settimana.
I cambiamenti introdotti dall’emergenza Covid-19 hanno avuto impatto anche sulla tua attività di ricercatore?
Direi di sì. L’approccio che uso con EMERGEO è lo stesso che utilizzo anche nella ricerca: molti dei lavori scientifici cui partecipo non sono miei lavori, sono lavori di gruppo. Ciò prevede collaborazione, scambio, confronto: tutti elementi che durante il periodo di pandemia sono stati necessariamente ridotti e “confinati” allo schermo di un PC. Mancano quei feedback fondamentali che normalmente rintracciavamo sui volti delle persone con cui si lavorava. Scriviamo moltissime più mail di quanto non facessimo prima: è tutto molto più delicato.
Che sviluppi futuri sono in programma per il Gruppo EMERGEO?
Il futuro è oggi: EMERGEO in queste settimane sta intervenendo in Croazia, a seguito del terremoto del 29 dicembre. Abbiamo contribuito ad organizzare un gruppo europeo di ricercatori, sulla falsariga di quanto avvenuto nel 2016 in Italia centrale, che ha proposto ai colleghi del Servizio Geologico Croato (gli incaricati ufficiali del rilievo degli effetti co-sismici) una collaborazione sul campo.
Il futuro è questo: riuscire a mantenere questo livello di collaborazione sul territorio nazionale ed estenderlo il più possibile anche a tutta l’Europa.
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