Nel gennaio del 1968 un forte terremoto colpì la Valle del Belice, distruggendo alcuni dei paesi che ne facevano parte. Si trattava del più forte sisma dell’Italia repubblicana e nessuno sapeva come gestire l'emergenza. La risposta dello Stato fu insufficiente e, anche a causa di una ricostruzione confusionaria, i paesi dell’area oggi si si trovano in una situazione di sottoutilizzo del patrimonio abitativo e di mancato sviluppo industriale. Vere e proprie cattedrali nel deserto, quei luoghi sono stati fotografati e le immagini sono state raccolte e messe a confronto con quelle scattate dai fotoreporter del giornale “L’Ora” nel 1968 in un libro che ha per titolo Belice Punto Zero. Per saperne di più abbiamo intervistato Mario Mattia, ricercatore dell’INGV e coautore del volume.
Mario, perché avete deciso di creare quest’opera?
Dopo 10 anni di lavoro nella zona del Belice a caccia delle faglie responsabili del terremoto del 1968 e degli eventi che hanno distrutto Selinunte, appartenenti alla stessa struttura, è stato spontaneo appassionarsi alla storia del posto e alle vicende che sono avvenute prima e dopo il terremoto. Quando si è verificata l'occasione di poter vedere il gigantesco archivio di immagini del giornale L'Ora, oggi depositato presso la Biblioteca Centrale della Regione Siciliana, è stato quasi un obbligo quello di tirar fuori dall'archivio queste immagini preziosissime e cominciare un lavoro di analisi insieme ad alcuni docenti dell'Accademia di Belle Arti di Palermo.
Da chi è stato realizzato?
Il libro ha tre curatori: io, il Professore Sandro Scalia e la Professoressa Donata Napoli, entrambi dell'Accademia di Belle Arti di Palermo, ma è frutto di una collaborazione con altri enti, come l'Università di Catania, che ha partecipato con il Professore Petino e il Professore Nicolosi, che si occupano rispettivamente di geografia e sociologia, e il CRESM (Centro Ricerche Economiche e Sociali per il Meridione) tramite Alessandro La Grassa. Quest’ultimo ente ci ha aiutato a capire i meccanismi relativi allo sviluppo industriale della zona. Ma non è tutto, il libro è anche frutto della collaborazione di tante persone che ci hanno aiutato, tra cui gli studenti dell'Accademia di Belle Arti di Palermo che hanno realizzato le foto nel gennaio del 2020, rendendo così possibile il confronto tra come era quel territorio prima o poco dopo il terremoto e come è adesso.
Quali sono i contenuti al suo interno?
Questo libro vuole essere la risposta ad alcune domande.
Essenzialmente ci siamo preoccupati di vedere quali sono stati gli effetti di questo terremoto nel lungo termine. Non dimentichiamo che quello del Belice è stato il primo terremoto catastrofico dell’era repubblicana ed è avvenuto in un periodo in cui non esistevano organizzazioni di Protezione Civile. Abbiamo analizzato cosa è successo durante e dopo l’emergenza così come nella ricostruzione per poi fare un confronto con il presente.
Le domande che ci siamo posti sono state: il ritardo strutturale ed economico di quest’area è stato colmato? Il rapporto con la propria storia e le proprie tradizioni è stato ripristinato? L’intervento dello Stato rispetto alle necessità di coloro che erano stati costretti a spostarsi perché il paese era distrutto, è stata efficiente?
Le risposte che il lettore trova all’interno del libro, purtroppo, sono negative. Durante la ricostruzione l’area venne sovradimensionata urbanisticamente e in barba alle tradizioni, infatti vennero riprodotti modelli urbanistici del nord Europa che nulla hanno a che vedere con la Sicilia occidentale. Inoltre non c'è stata nessuna prospettiva di sviluppo: al tempo si parlò dell'installazione di nuove industrie affinché la gente la smettesse di emigrare verso il nord, ma nulla di tutto questo è stato fatto.
Che tipo di evento è stato il terremoto del Belice?
Il terremoto del Belice è stato un terremoto inatteso come spesso succede, soprattutto in un periodo, (siamo nel 1968) in cui la cultura della prevenzione antisismica era ancora agli albori. L’evento trovò la gente e lo Stato completamente impreparati e la risposta fu terribile: i soccorsi arrivarono dopo giorni, condannando a morte tantissime persone, e a coloro che avevano perso tutto, lo Stato regalò biglietti di sola andata verso qualsiasi destinazione per emigrare. A ciò seguirono quindici anni di baracche: la ricostruzione partì solo otto anni dopo quando venne emanata la legge per il terremoto del Friuli.
Come mai avete scelto il titolo “Belice Punto Zero”?
Abbiamo scelto questo titolo proprio perché ciò che è accaduto a seguito del terremoto rappresenta il punto zero della storia della risposta dello Stato italiano alle grandi emergenze sismiche dell’Italia repubblicana. Una lezione da non dimenticare: peggio di così non si poteva fare.
Quale vuole essere il messaggio di quest'opera?
Il messaggio che abbiamo provato a trasmettere a chi sfoglia le immagini del volume è quello del vuoto.
I giganteschi complessi di case che sono stati costruiti negli anni Settanta e Ottanta oggi sono per lo più disabitati, così
come sono disabitate le piazze realizzate dai grandi architetti che hanno lavorato in questa ricostruzione col massimo spirito di sacrificio e regalando i loro progetti alla comunità del Belice. Oggi queste costruzioni sono delle vere e proprie cattedrali nel deserto: non c’è nessuno che le frequenta. Il senso che si ricava dal confronto tra com'era prima quella zona e come adesso è quello del vuoto, dell’assenza
Per concludere, dove può essere consultato il libro?
Il PDF della versione integrale è scaricabile liberamente al
Si tratta di una pubblicazione interna all’INGV e, tra l’altro, è il primo libro in libro in cui l’INGV è editore: è infatti dotato di un ISBN, cioè del codice identificativo per le biblioteche.
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