Newsletter n.3
Geologia, la scienza del futuro. Intervista a Gabriele Scarascia Mugnozza, Presidente della Commissione Nazionale Grandi Rischi
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- Scritto da Francesca Pezzella
Laureato in Scienze Geologiche e Dottore di Ricerca in Scienze della Terra, Gabriele Scarascia Mugnozza è Professore ordinario di Geologia Applicata presso l'Università Sapienza di Roma nonché Presidente della Commissione Nazionale per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi, la struttura di collegamento tra il Servizio Nazionale della Protezione Civile e la comunità scientifica. Da sempre grande amante della natura, il Professore Scarascia Mugnozza nel suo percorso professionale si è occupato fin da subito di prevenzione dei rischi. Abbiamo avuto il grande piacere di intervistarlo per comprendere l’importanza della Geologia nella pianificazione del territorio e sapere qualcosa in più sul Suo percorso.
Professore, come è nata la Sua passione per la geologia e perché ha deciso di intraprendere gli studi in questa direzione?
La mia passione per la geologia nasce fin da bambino, i miei genitori e mio nonno mi hanno trasmesso l’amore per la montagna. Per mia fortuna ho potuto apprezzare e amare i paesaggi montani fin da ragazzino, frequentando le Dolomiti tutte le estati da quando avevo circa sette anni: ricordo che raccoglievo i sassi per riportarli a casa con me. In più ho sempre amato la geografia, passavo intere giornate a studiare gli atlanti, soprattutto la parte fisica, i fiumi, le coste, le montagne più alte: avevo imparato a memoria le quote massime di tutti i continenti… quindi quella di Scienze Geologiche è stata quasi una scelta obbligata, proprio perché amavo la geografia, le montagne e il paesaggio.
Qual è il ramo della disciplina che l’affascina di più?
La teoria che più mi affascina è quella della deriva dei continenti, formulata in maniera moderna e aggiornata tramite la teoria della tettonica delle placche. Pensare che la crosta superficiale del nostro Pianeta sia costituita da placche in continuo, perenne movimento reciproco, seppur molto molto lento, credo colpisca chiunque si avvicini alle Scienze della Terra.
Tra i Suoi interessi scientifici e didattici spicca l’area della previsione e prevenzione dei rischi geologici, in particolare il rischio da frana e sismico. Quando ha iniziato ad occuparsene?
Nel mio percorso professionale mi sono occupato fin da subito di analisi di pericolosità per la prevenzione dei rischi, in particolare di quelli relativi a frane e terremoti. L’anno in cui mi sono immatricolato all’università è stato quello del terremoto dell’Irpinia, il 1980, mentre dopo il conseguimento della laurea, al termine del servizio militare, ci fu la frana della Val Pola in Valtellina, nel 1987. Questi eventi colpirono molto la comunità dei geologi e devo dire che hanno influito molto sulla mia formazione e sui miei interessi scientifici.
Lei si occupa anche di microzonazione sismica, di che si tratta? A cosa serve?
Per microzonazione sismica intendiamo una serie di indagini volte a identificare le differenti risposte da parte dei terreni alle sollecitazioni di un sisma che possono provocare effetti differenti anche in zone molto vicine, in funzione delle caratteristiche geologiche degli strati più superficiali della crosta terrestre. Questo accade perché le onde sismiche, a partire dalla sorgente, compiono un certo percorso e quando arrivano negli strati più superficiali ad alcune decine, massimo centinaia di metri, possono subire delle amplificazioni in funzione di quelle che sono le caratteristiche dei terreni. Ecco, la microzonazione sismica serve proprio a identificare e delimitare aree che hanno differenti comportamenti in risposta alle onde generate dal sisma. Identificare in quali zone del territorio comunale si può verificare una maggiore o minore amplificazione delle scosse sismiche aiuta sia in fase di pianificazione urbanistica sia durante la progettazione di interventi di miglioramento e adeguamento sismico, in quanto questi sono differenti in funzione della costruzione e del sito su cui essa è ubicata.
Ci può spiegare il concetto di rischio?
Il rischio è il prodotto di tre fattori. Il primo è la pericolosità e questa è sostanzialmente la probabilità che un certo evento, come un terremoto, una frana o un'eruzione vulcanica, di una determinata intensità avvenga in un intervallo di tempo in una certa area. Comprendiamo quindi come nella pericolosità ci siano i concetti di intensità, di spazio e di tempo. Per quanto riguarda la vulnerabilità, invece, si tratta del grado di danneggiamento che un edificio o una struttura possono subire a seguito di un certo evento di una data intensità. Se questo è poco vulnerabile verrà danneggiato in maniera minima. La terza componente del rischio, infine, è l’esposizione che si riferisce all'insieme di tutte le categorie dei beni come case, edifici, infrastrutture e persone presenti in una determinata area. Dalla combinazione di esposizione, vulnerabilità e pericolosità deriva il rischio, che ha una dimensione monetaria perché sta indicare la perdita economica a seguito di un evento di una certa pericolosità, in una zona con un insieme di beni esposti. Per riassumere quello che abbiamo detto facciamo l’esempio di un terremoto di elevata magnitudo nel deserto: ha una elevata pericolosità ma il rischio è zero perché l'esposizione è pari a zero in quanto non ci sono persone e strutture.
C'è chi pensa, erroneamente, che la scienza sia solo "certezza". Perché non è così?
Questa è una bella domanda. Credo che la scienza di per sé non abbia certezze, altrimenti non sarebbe scienza. Se i ricercatori avessero certezze non avrebbero più bisogno di cercare... la scienza di per sé è lo studio di nuove scoperte, la ricerca di nuovi confini che porta a nuovi risultati. Spesso la gente comune si aspetta indicazioni nette e precise, ma un approccio scientifico serio e rigoroso sarà sempre basato su un metodo probabilistico di tipo statistico. La scienza può dare indicazioni data l'intrinseca aleatorietà dei processi e questa aleatorietà fa sì che un geologo, per esempio, potrà affermare che sussiste un'elevata probabilità che avvenga un terremoto nei pressi di una determinata area, ma non potrà mai fornire giorno e luogo preciso dell’evento sismico.
Qual è il ruolo del geologo nella tutela del nostro territorio?
Il ruolo del geologo è fondamentale nella tutela del nostro territorio perché è l'unico tecnico professionista che ha la corretta forma mentis per comprendere che tutti i processi a cui assistiamo sono da riportare in una scala temporale geologica ben superiore a quella della vita umana. I geologi posseggono gli strumenti necessari per osservare e capire le dinamiche alla base di tutti gli eventi che interessano il territorio, come per esempio la variazione delle linee di costa e i percorsi dei fiumi, inserendoli nella corretta finestra temporale... a volte anche solo mediante uno sguardo su Google Earth. Un maggior numero di geologi nelle amministrazioni comunali e uffici preposti alla tutela del territorio sarebbe molto, molto utile, anzi necessario.
Il Suo percorso di studi l’ha portata anche all’estero: cosa abbiamo da imparare e in cosa brilliamo in Italia rispetto al mondo della ricerca della geologia applicata?
Durante i miei studi ho viaggiato molto, sono stato un anno in Giappone, poi in Germania, negli Stati Uniti, in Canada. Sicuramento all’estero ho trovato un’organizzazione molto più efficiente della nostra rispetto al contesto della ricerca. Quello che ci differenzia però è l’essere multitasking, il che forse deriva proprio dal doversi a volte barcamenare. Racconto un aneddoto: l’anno in cui ero in Giappone come ricercatore ci fu un forte terremoto a Kōbe nel gennaio del 1995. Io ero a Kyoto, a circa settanta chilometri di distanza. Strade e ferrovie erano bloccate, ma io mi feci prestare una moto da cross da un collega italiano e con questa, partendo da Kyoto, riuscì ad arrivare nell'epicentro del terremoto e a vedere e fotografare l'esposizione superficiale della faglia che aveva generato il sisma. Per far ciò attraversai tutta Kōbe distrutta e presi anche il traghetto per arrivare sull’isola di Awaji. Rientrai la notte a Kyoto e quando, il giorno, dopo raccontai ai miei colleghi giapponesi che ero stato sul luogo del sisma e mostrai loro le fotografie, mi guardarono come un marziano: come mai avevo potuto io, straniero, prendere una motocicletta e arrivare sull’isola da solo, con i cartelli scritti spesso solo in giapponese??? A loro sembrava una cosa impossibile, per me, italiano, era la cosa più logica che ci potesse essere al mondo.
Perché è così importante la ricerca scientifica nel campo delle applicazioni della geologia?
È importante perché serve a mitigare i rischi e a ridurre i danni, per questo facciamo ricerca e portiamo avanti studi come quelli di microzonazione sismica, per progredire nelle conoscenze da mettere al servizio del Paese al fine di adottare le opportune misure. La geologia nasce come scienza del reperimento delle risorse, si pensi alla geologia del petrolio o all’idrogeologia, ma nel tempo si è sempre più dedicata alla mitigazione dei disastri naturali che, attenzione, sono eventi “disastrosi” perché c’è la presenza umana. In futuro, il ruolo della geologia sarà fondamentale nel guidarci in un rapporto sostenibile con l’ambiente e nel programmare lo sfruttamento razionale delle georisorse.
Qual è la funzione della Commissione Nazionale Grandi Rischi?
La Commissione Nazionale Grandi Rischi è l'organo di consulenza tecnico-scientifica del Dipartimento della Protezione Civile presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Come previsto dal codice della Protezione Civile, recentemente introdotto con il decreto legislativo n°1 del 2018, ha il ruolo di interfaccia tra scienza e Governo rispetto a un'ampia categoria di rischi, tra cui quelli naturali e quelli tecnologici legati, per esempio, all’inquinamento.
Cosa significa per Lei essere Presidente della Commissione Nazionale Grandi Rischi? Quali obiettivi auspica di raggiungere?
Essere Presidente della Commissione Nazionale grandi Rischi è un compito di grandissima responsabilità nei confronti della società e del Paese, anche per le ragioni che ho illustrato prima: non abbiamo assolute certezze rispetto ai fenomeni geologici come i terremoti, i vulcani e le frane: nonostante ne conosciamo i meccanismi non siamo in grado di predire dove e quando avverrà un evento avverso, questo è un aspetto molto delicato. Tra gli obiettivi che mi auspico di raggiungere c’è un rapporto sempre più efficace tra scienza e decisori politici al governo. Questi ultimi devono essere indirizzati attraverso gli strumenti conoscitivi messi a disposizione dal mondo della ricerca per operare al meglio nelle azioni di mitigazione del rischio che, sottolineo, includono azioni di prevenzione strutturale ma anche azione di prevenzione non strutturale, duplice aspetto fondamentale per la Protezione Civile. Come ricordava il grande Onorevole Giuseppe Zamberletti, fondatore della Protezione Civile italiana e ideatore della Commissione Nazionale Grandi Rischi, attraverso la cultura della prevenzione è possibile mitigare i rischi, quindi i danni derivanti dai disastri, e questo si realizza sia costruendo bene sia adottando misure individuali e collettive di autoprotezione e rispettando le indicazioni della Protezione Civile. Si pensi a quando, nonostante le allerte meteorologiche, in caso di precipitazioni particolarmente intense, gli automobilisti si mettono alla guida e percorrono i sottopassi… A questo riguardo, purtroppo, in Italia la cultura della prevenzione è ancora poco sviluppata. Ricordo che in Giappone, al tempo della mia permanenza lì, ogni mese si tenevano esercitazioni nel Campus Universitario: una volta per gli incendi, l’altra per il terremoto, poi per il tifone e così via.
Come sta cambiando il tema dei grandi rischi in Italia?
Nonostante in Italia la cultura della prevenzione sia ancora poco sviluppata in materia grandi rischi, l’approccio sta cambiando e guardo con ottimismo al futuro. Si stanno portando avanti una serie di campagne di divulgazione ed esercitazione come Io non rischio e si tratta di eventi molto importanti che sicuramente devono essere incoraggiati. Molte attività oggi sono rivolte ai ragazzi, ci sono evidenze scientifiche sul fatto che i giovani in età scolare, i più ricettivi, rispondano meglio se formati non solo attraverso l’insegnamento in classe ma anche mediante esercitazioni pratiche: solo in questo modo, infatti, rimane scolpita in loro la conoscenza acquisita.
Quali sono le caratteristiche che un bravo studente di geologia dovrebbe avere e quale consiglio darebbe a uno studente che decide di intraprendere gli studi in Scienze della Terra?
Uno studente di geologia deve sicuramente nutrire amore e curiosità per la natura e per tutto quello che riguarda il territorio; il consiglio che posso dare è quello di seguire questo percorso con passione perché da geologi non si diventa probabilmente ricchi, ma è un campo che può dare grandi soddisfazioni personali. Purtroppo, oggi assistiamo a una forte diminuzione degli studenti che si immatricolano in questo campo mentre in Italia c’è un grande bisogno di questi esperti che sappiano come la Terra evolve e si evolverà in futuro. Anche per queste ragioni invito i ragazzi a valutare gli studi di questo settore.
Qual è il ruolo dei social media nella divulgazione scientifica oggi e quale crede possa essere il loro futuro?
I social media oggi hanno un ruolo molto importante per la divulgazione scientifica, ma non sempre forniscono un buon servizio: si pensi a tutte quelle notizie false che circolano in rete, non soltanto riguardo ai rischi naturali, che spesso diventano virali. Queste informazioni andrebbero contrastate attraverso una regolamentazione dei social media che preveda degli strumenti di controllo al fine di bloccare le fake news e favorire la corretta divulgazione, proveniente da fonti accreditate. Questo secondo me è l’imminente, necessario futuro.
Secondo la Sua esperienza, l’attività di sensibilizzazione portata avanti dalle varie entità che si occupano di scienze della Terra è riuscita a veicolare il messaggio che la geologia è una disciplina “del futuro”, e non solo del passato, poiché necessaria alla pianificazione del territorio? Cosa deve essere ancora fatto in questa direzione?
Certamente tutte le persone che si sono spese e si spendono per trasmettere questo messaggio hanno operato e operano molto bene, è stata raggiunta un'ampia fascia della popolazione italiana, però manca ancora una maturità culturale in tema e per questo è necessario fare tanta divulgazione di qualità. Questa deve essere diretta soprattutto ai più giovani: oggi discipline come la geografia sono sempre più snobbate e la divulgazione serve anche a far appassionare alle scienze della Terra e dell’ambiente. Così come la divulgazione scientifica è importante, quando associata a esercitazioni pratiche, per sviluppare una cultura della prevenzione che renda i cittadini consapevoli delle buone pratiche, individuali e collettive, da mettere in atto per proteggersi dagli eventi calamitosi naturali.
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