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A quarant’anni dal terremoto dell’Irpinia: l’intervista al Professore Roberto Scarpa
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- Scritto da Francesca Pezzella
Sono passati 40 anni da quel 23 novembre, quando alle 19:34 un fortissimo terremoto di magnitudo 6.9 colpì l'Irpinia e la Basilicata. Abbiamo voluto ricordare questo evento con le parole di chi, in quei giorni, si trovava sui luoghi della tragedia e che quel terremoto non ha mai smesso di studiarlo. Nel nostro salotto virtuale abbiamo invitato il Professore Roberto Scarpa, Ordinario di Geofisica della Terra Solida dell’Università di Salerno e Consigliere d’Amministrazione dell’INGV, che ci ha raccontato in questa intervista la sua preziosa testimonianza.
Professore, dove si trovava e cosa stava facendo quel 23 novembre del 1980 quando l’Irpinia tremò?
Mi trovavo a Napoli e proprio in quel momento stavo studiando i terremoti dell'Italia meridionale. Per l’esattezza, stavo rivedendo dei dati e analizzando le sequenze storiche relativamente ad un lavoro presentato l’anno precedente al Ministro dei Lavori Pubblici e che aveva portato alla elaborazione di un modello preliminare sismotettonico della zona. Avvertii chiaramente le fasi principali dell’evento e le così dette onde P e onde S. Calcolando i secondi trascorsi tra le due, circa una decina, compresi che il sisma doveva essere avvenuto a circa ottanta chilometri di distanza.
Cosa fece subito dopo?
Le strade erano occupate dalle persone scese in strada, così mi recai al commissariato di Polizia per chiedere aiuto al fine di raggiungere la sede dell’Osservatorio Vesuviano dove lavoravo. Il Commissario, molto disponibile, mi mise a disposizione una volante per raggiungere la sede dell’Osservatorio ma, una volta arrivato, mi resi subito conto che era mancata l’energia elettrica. C’erano circa 6 stazioni sismiche in Campania che mi avrebbero permesso di localizzare con precisione l’evento ma tutto era fermo, compresi i rulli di registrazione e i nastri magnetici che al tempo si utilizzavano per registrare gli eventi. Pensai allora di recarmi alla sede storica dell’Osservatorio Vesuviano dove c’erano degli strumenti meccanici funzionanti senza energia elettrica, tra questi l’Omori - Alfani. Questo strumento importantissimo, messo a punto da Padre Alfani negli primi anni del Novecento, mi permise di calcolare la magnitudo dell’evento che si rivelò di un valore prossimo a 6.5. L’esperienza mi permise inoltre di identificare anche la zona di origine del terremoto, quella dell’Irpinia. A quel punto il problema fu comunicare questi valori. Passai le informazioni ai guardiani dell’Osservatorio che rispondevano al telefono e che erano nel frattempo subissati di chiamate; per un po’ diedi loro una mano. A notte inoltrata rientrai a casa con i poliziotti, ma all’alba ero di nuovo lì a studiare e indagare l’evento. Furono ore molto concitate.
Cosa accade nei giorni immediatamente successivi? Che tipo di terremoto era avvenuto?
Fu un'esperienza sconvolgente e il lavoro, tantissimo, mi impegnava quasi h24. Cercavo di ripristinare tecnicamente il sistema di acquisizione dati dell’Osservatorio e di rispondere alle tante richieste di informazioni sull’evento. In quei giorni iniziai a coordinare un team internazionale di colleghi provenienti dalle università di Cambridge e Parigi, arrivati, con la loro strumentazione, per studiare l’evento; contemporaneamente mi relazionavo con i colleghi dell’INGV (allora ING). L’analisi dei meccanismi focali del terremoto rielaborati, insieme alla mole di dati provenienti da tutto il mondo, permise di comprendere innanzitutto che si trattava di una faglia detta in gergo “normale”. Successivamente abbiamo capito che il terremoto è stato responsabile di una sequenza multipla, cioè in un minuto circa è avvenuta la rottura di 3 segmenti di faglia pressoché contigui che hanno provocato un fenomeno di subsidenza. In un recente lavoro portato avanti con ricercatori dell’INGV e dell’Università di Chieti, infine, abbiamo rivisto più in dettaglio il meccanismo della sequenza dell’evento… dopo 40 anni la ricerca prosegue!
Quali furono le zone colpite da questo terremoto?
Il terremoto è caratterizzato generalmente nella letteratura come terremoto Irpino ma personalmente preferisco la definizione di Irpino - Lucano perché ha colpito anche zone della Basilicata. Un’ampia fascia dell'Appennino meridionale include l'Irpinia, territorio montuoso della Campania. Il terremoto si è sviluppato lungo un'area di faglia dell'ordine di alcune migliaia di chilometri quadrati, enucleandosi ad una profondità di circa 10 chilometri della crosta. La faglia si estende anche in superficie, alcuni suoi segmenti hanno chiare evidenze di rottura per almeno 50 chilometri. Recentemente con l’Università di Chieti abbiamo svolto una ricerca i cui risultati hanno evidenziato una estensione di faglia di circa 60 chilometri che coinvolge una faglia principale in direzione appenninica, ben documentata in letteratura, e anche un'altra zona antitetica rispetto a questa. Questa scoperta chiarisce che l'ultimo e più meridionale segmento di faglia è allineato in direzione est-ovest e non solo lungo una direzione appenninica. Ciò sembra un dettaglio tecnico invece è utile per comprendere, valutare e spiegare i dati degli accelerometri funzionanti all'epoca.
Cosa è cambiato nella sorveglianza sismica da allora ad oggi?
Sembrano passati anni luce! Allora c’erano una trentina di stazioni gestite dall’ING, centralizzate via cavo telefonico. Questa rete funzionava con l’apporto di altri istituti nazionali che lavoravano nel settore sismologico, per cui fu da noi chiamata “rete confederata nazionale”, e permetteva di raccogliere ed elaborare in modo uniforme i dati sismologici. Oggi la Rete Sismica Nazionale è molto più densa, l’evoluzione tecnologica è stata notevole così come l'organizzazione della trasmissione dei dati alla Protezione Civile è stata oggetto di protocolli di azione coordinati. Proprio questo flusso coordinato di informazioni permette, al verificarsi di un grande terremoto, di avere entro un’ora il quadro della situazione rispetto ai soccorsi da prestare nelle zone colpite. Anche la normativa si è evoluta: fino agli anni Ottanta le aree dichiarate sismiche erano solamente quelle colpite da terremoti recenti. In seguito al sisma del 1980 questa caratterizzazione venne completamente rivista, grazie anche all’interazione tra studiosi di terremoti, ingegneri sismici e la Protezione Civile.
Di questo terremoto qual è l'immagine che le è rimasta scolpita nella memoria?
Mi recai nella zona epicentrale pochi giorni dopo l’evento e le immagini che non potrò mai dimenticare furono l’entità del danno e il dolore e lo sconforto della popolazione. Fu qualcosa di indescrivibile e per me, un sismologo che studiava i terremoti, l’emozione è ancora oggi intensa. Quello che è accaduto ci deve spingere a trovare le tecniche per difenderci dai terremoti; il problema più grande è legato alla vulnerabilità degli edifici che, se non sono costruiti a regola d’arte, possono subire danni notevoli. Anche i centri storici sono molto vulnerabili. Un dato consolatorio raccolto dagli ingegneri al tempo del terremoto del 1980 fu che oltre il 90% degli edifici della zona epicentrale del “cratere” muniti di particolari travi per proteggere la struttura dalle accelerazioni orizzontali non crollò ed ebbe danni solo parziali.
Secondo lei, perché è così importante ricordare questo terremoto?
È importante perché si tratta di un anniversario di un evento che segna un passaggio epocale nella storia della sismologia italiana. L’allora l'Istituto Nazionale di Geofisica, oggi INGV, è stato notevolmente potenziato, così come la Rete Sismica Nazionale. Si è sviluppata la Protezione Civile, che già muoveva i primi passi grazie all'Onorevole Zamberletti e al suo operato, dopo il terremoto che quattro anni prima aveva colpito il Friuli. Da allora c'è stata una coscienza maggiore ma le problematiche legate alla difesa dai terremoti esistono ancora. È necessaria più consapevolezza da parte della popolazione, perché conoscere il terremoto è il primo passo per difendersi. Gran parte dell’Italia è esposta a questo tipo di rischio, solo la Sardegna e parte della Puglia, in particolare nella regione di Lecce (che però potrebbe risentire dei terremoti greci), sono zone relativamente più tranquille.
Per concludere cosa ha rappresentato per lei il terremoto dell'Irpinia? Cosa è cambiato da allora e cosa è rimasto?
Dall'epoca ho ampliato le mie conoscenze sui terremoti. Prima di allora avevo avuto esperienza diretta di pochissimi eventi sismici, uno in particolare fu un terremoto di magnitudo 5 che avvenne nel 1978 in Germania, dove mi trovavo per partecipare ad un convegno. Il terremoto del 23 novembre del 1980 mi ha molto colpito emotivamente e le emozioni provate mi hanno rafforzato, dandomi la carica per studiare questi fenomeni a cui ho dedicato, e sto dedicando, gran parte della mia vita.