Newsletter n.9
Il Laboratorio di Paleoclimatologia di Pisa
- Dettagli
- Scritto da Marco Cirilli
Dalla grotta fino in Lab. È questo il viaggio dei campioni di concrezione che vengono analizzati all’interno del Laboratorio di Paleoclimatologia della Sezione di Pisa dell’INGV. I ricercatori, infatti, si occupano qui di prelevare del materiale dalle stalagmiti delle grotte per analizzarlo e studiarne i vari livelli di crescita con l’obiettivo di approfondire la conoscenza delle variazioni climatiche avvenute fino a centinaia di migliaia di anni fa.
Per conoscere più a fondo questo processo abbiamo intervistato la responsabile del Lab, la tecnologa dell’INGV Ilaria Isola.
Ilaria, di cosa si occupa esattamente il Lab?
Il Laboratorio di Paleoclimatologia della Sezione di Pisa è nato una decina di anni fa a sostegno delle ricerche sulle variazioni climatiche del passato basate sullo studio degli speleotemi (ovvero delle concrezioni di grotta). Un’importante caratteristica delle concrezioni è la loro capacità di crescere per decine, migliaia o centinaia di migliaia di anni, registrando nei vari livelli di crescita le variazioni climatiche avvenute in quell’arco di tempo nell’ambiente esterno.
Come si ricavano dati sul clima del passato?
Per ottenere delle informazioni sulle variazioni climatiche del passato è necessario prelevare dei campioni di concrezione in grotta e studiarli nel dettaglio. Gli strumenti presenti nel Laboratorio sono tutti dedicati al campionamento, sia in esterno (o meglio, in grotta), sia al micro-campionamento in Istituto.
Che tipo di strumenti utilizzate nel Lab?
L’attrezzatura da campagna è costituita da trapani a batteria (che consentono di evitare la produzione di fumi nocivi) su cui è montato un carotiere a testa diamantata del diametro di 5 centimetri, raffreddato da un circuito ad acqua. Il sistema è corredato da una serie di aste che permettono di raggiungere una profondità di perforazione di circa 2 metri. In questo modo è possibile prelevare carote sia in colate stalagmitiche che in stalagmiti, così da limitare al massimo l’impatto sulla grotta: l’unica traccia che rimane al termine del campionamento è infatti un piccolo foro di 5 centimetri.