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Il terremoto del 23 novembre 1980: intervista al Capo Dipartimento della Protezione Civile Angelo Borrelli
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- Scritto da Francesca Pezzella
Ci sono eventi che marcano un prima e un dopo, è il caso del terremoto dell’Irpinia del 23 novembre 1980 che segna nascita di una vera e propria protezione civile nazionale, attraverso l’ impegno dell’allora Commissario Giuseppe Zamberletti. Oggi la Protezione Civile è una struttura organizzata e pronta ad intervenire in tempi brevissimi per qualsiasi emergenza sul territorio ed il suo valore è riconosciuto anche in sede internazionale. A quarant’anni da quel tragico evento spartiacque, abbiamo intervistato il Capo Dipartimento della Protezione Civile Angelo Borrelli che ci ha raccontato come ha vissuto quel terremoto e che cosa è cambiato da allora.
Il 23 novembre del 1980 per molti italiani rappresenta una data simbolo, una data in cui inevitabilmente ci si ricorda dove si era in quel momento e cosa si stesse facendo. Cosa ricorda di quel giorno o dei giorni a seguire?
Nel 1980 avevo 16 anni, vivevo nel basso Lazio e anche noi avvertimmo nitidamente la scossa, la terra e la casa tremarono e naturalmente avemmo paura. Dei giorni dopo ricordo il racconto televisivo di quella tragedia, immagini che trasmettevano un grande dolore.
Immagino che all’epoca era studente. Come visse la mobilitazione dei soccorsi italiani, anche nella sua visione da adolescente?
Non esisteva ancora il volontariato organizzato di protezione civile, ognuno cercava di rendersi utile come poteva e anche io, nel mio piccolo, mi feci promotore di una raccolta di beni, prevalentemente indumenti e cibo, che inviammo in Irpinia attraverso la nostra parrocchia.
Dopo il terremoto del Friuli di qualche anno prima, nell’evento dell’Irpinia molti storici indicano la nascita di una vera e propria protezione civile nazionale, attraverso il totale impegno dell’allora Commissario Giuseppe Zamberletti. Oggi la Protezione Civile è una struttura organizzata e pronta ad intervenire in tempi brevissimi per qualsiasi emergenza sul territorio nazionale ed il suo valore è riconosciuto anche in sede internazionale. Ma c’è qualcosa che il cittadino comune può fare per “aiutare” la Protezione Civile?
La Protezione Civile in Italia nasce da una intuizione di Giuseppe Zamberletti, che dopo aver vissuto in prima persona i drammatici eventi sismici che colpirono Friuli e Irpinia, comprese che comunità scientifica, strutture operative e volontariato dovevano lavorare insieme, fianco a fianco. E il lavoro più importante fu proprio quello di organizzare il volontariato nel nostro Paese. Dopo lo spontaneismo di quegli anni oggi possiamo contare su 800.000 volontari formati, equipaggiati e pronti a intervenire su vari scenari di rischio. Ai cittadini chiediamo certamente di conoscere il proprio territorio, i rischi a cui è esposto e le buone pratiche da mettere in campo in caso di calamità; ma anche di iscriversi alle tante associazioni di volontariato presenti sul territorio nazionale.
Secondo lei, dopo il terremoto del Friuli, dell’Irpinia e degli altri che nel tempo si sono succeduti con effetti, purtroppo, devastanti, abbiamo finalmente la consapevolezza della fragilità naturale del nostro territorio?
Il nostro è un Paese esposto a numerosi rischi, non solo quello sismico ed è importante che tutti i cittadini conoscano i rischi a cui è esposto il territorio in cui vivono. Certamente negli anni è cresciuta la cultura del rischio ma c’è ancora tanta strada da compiere in particolare sulla conoscenza delle buone pratiche. Un cittadino informato e formato è un cittadino meno esposto ai rischi. Non è accettabile che durante un’alluvione ci siano cittadini che rischiano la propria vita, e purtroppo in alcuni casi la perdano, per mettere al sicuro la propria automobile.
Il costante monitoraggio e una ricerca avanzata degli eventi naturali è fondamentale per poter conoscere la resilienza del territorio e, se possibile, prevenire i danni. Dal suo punto di vista privilegiato, cosa si deve fare per “catturare” l’attenzione dei cittadini ad un uso consapevole del paese in cui vivono?
Ogni giorno dobbiamo sforzarci per trovare metodi moderni e attuali per raggiungere i nostri concittadini. È importante essere presenti in quelle piazze, anche virtuali, che sono abitualmente frequentate dalla popolazione. Per questo nel 2018 il Dipartimento che dirigo ha deciso di aprire i propri canali ufficiali su Facebook e Twitter. Attraverso quelle pagine cerchiamo di diffondere ogni giorno cultura di protezione civile. I risultati che stiamo raccogliendo sono confortanti, a poco più di due anni dalla sua apertura la nostra pagina Facebook conta oltre un milione di follower.
La “Settimana della Protezione Civile” appena conclusa ha visto l’appuntamento “Io non rischio” svolgersi in una veste nuova, on line. E, inevitabilmente, si prevede di svolgere on line anche altre manifestazioni in futuro. Secondo lei, questa è una pagina nuova della comunicazione dei rischi della Protezione Civile secondo metodologie più “smart” e forse più “vicine” agli utenti?
La ripresa dei contagi nello scorso mese di ottobre ci ha costretti a rivedere molti degli appuntamenti previsti all’interno della “Settimana della Protezione Civile”, ma non ci siamo scoraggiati e abbiamo messo in campo un’iniziativa resiliente. Anche “Io non rischio”, giunta alla sua decima edizione, ha dovuto mutare un po’ le sue abitudini ma certamente è stato un arricchimento per la campagna. Il Dipartimento, come vi dicevo poco fa, è particolarmente attento alle nuove tecnologie e per questo a breve lanceremo It- Alert, un sistema di allertamento della popolazione che ci consentirà di raggiungere tutti i cittadini presenti in una determinata area direttamente sui loro cellulari. Scriveremo una nuova e importante pagina sul tema dell’allertamento.
Se dovesse raccontare il terremoto del 1980 con un’immagine, che immagine sceglierebbe?
Sarò banale ma per me l’immagine di quel terremoto resta la prima pagina de “Il Mattino” con il grande titolo “Fate presto”. Quell’imperativo è ancora al centro dell’azione di protezione civile, ogni giorno lavoriamo per farci trovare pronti in caso di calamità, ci prepariamo per fare presto. Ma quotidianamente ci impegniamo affinché non solo si faccia presto ma si faccia bene.
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