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Dai vulcani campani a quelli delle Canarie: Intervista a Luca D’Auria, Direttore dell’area di vigilanza vulcanica dell’INVOLCAN
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- Scritto da Francesca Pezzella
Dal 19 settembre al 13 dicembre 2021, il Cumbre Vieja, a La Palma, è entrato in eruzione. In molti sull’isola hanno osservato per la prima volta le colate laviche giunte fino al mare: prima d’allora, infatti, l’ultimo evento vulcanico risaliva al 1971.
Per saperne di più abbiamo ospitato nel nostro salotto virtuale Luca D’Auria, direttore dell’area di vigilanza vulcanica dell’Istituto Vulcanologico delle Isole Canarie, l’INVOLCAN, che in passato ha lavorato anche presso l’Osservatorio Vesuviano dell’INGV. D’Auria ci ha raccontato alcuni momenti della sua vita personale e professionale fornendo interessanti informazioni sul vulcanismo delle Canarie.
Direttore, quando è nata in lei la passione per la scienza?
Sin da bambino ho nutrito una forte passione nei confronti della scienza e, in particolare, per lo studio della Terra e dei fenomeni associati, come i vulcani e i terremoti.
Sono nato alle falde del Vesuvio, che ho sempre considerato un membro di famiglia, e ho vissuto l’esperienza del tragico terremoto che colpì l’Irpinia nel 1980.
È stato quindi naturale per me, dati l'interesse personale e le circostanze della vita, intraprendere una carriera di studio incentrata sulla sismologia dei vulcani.
Qual è il risultato scientifico di cui va maggiormente fiero?
Alcuni degli articoli di cui sono primo autore hanno avuto molte citazioni ma confesso che la pubblicazione della quale sono maggiormente orgoglioso non è tra queste, ed è stata una delle prime.
Correva l’anno 2005 e lavoravo presso l'Osservatorio Vesuviano dell’INGV, quando un giorno venne udito un boato dagli abitanti dell’Isola d'Ischia; nell'immediato non venne trovata una spiegazione del fenomeno e quanto avvenuto rimase un mistero per varie settimane.
Ebbene, ebbi il piacere di scoprire che si era trattato dell’onda d’urto di un meteorite esploso nell’atmosfera al di sopra di Ischia. Si trattava di un ambito differente dal mio; per questo è stata una soddisfazione vedere confermata la mia ipotesi, la stessa emozione che si prova vincendo una sfida.
C’è stato un evento per lei particolarmente determinante nel suo percorso professionale?
Sì, le emergenze dello Stromboli avvenute nel 2003 e nel 2007 sono state per me, e per tutta la comunità vulcanologica italiana, particolarmente determinanti.
Il 5 aprile 2003, mentre il vulcano continuava ad emettere lava da una bocca situata a 550 m, si verificò una violenta esplosione parossistica ai crateri centrali e alcuni blocchi espulsi dal vulcano ricaddero a quote basse sul versante sud-occidentale, colpendo delle abitazioni nella frazione di Ginostra. Nel 2007, invece, vennero registrate variazioni significative dello stato del vulcano Stromboli, e seguì un periodo di attività effusiva.
La comunità scientifica, prima frammentata in istituti e linee di ricerca, nel 2003 si è unita e “amalgamata” per studiare il fenomeno in corso. È stata la prima emergenza che mi ha visto coinvolto lavorativamente e si è rivelata una esperienza molto stimolante, così come quella di quattro anni dopo.
Quali sono le differenze tra i vulcani italiani e quelli delle isole Canarie?
I vulcani italiani hanno origine dalla subduzione della placca adriatica che si trova al di sotto del Mar Tirreno e, in genere, sono più esplosivi di quelli delle Canarie. Le loro caratteristiche variano a seconda della posizione in cui si trovano: per esempio Stromboli è molto diverso dal Vesuvio, che, a sua volta, è differente dai Campi Flegrei.
Nelle Canarie è presente un vulcanismo detto di hot spot (punto caldo) in cui le isole si formano, evolvono e “muoiono” seguendo un ciclo della durata di diverse decine di milioni di anni, abbastanza noto.
Le isole occidentali sono le più giovani, ne è un esempio La Palma; andando verso est, invece, si trovano in uno stadio evolutivo avanzato. Pensiamo a Fuerteventura, dove non c’è quasi più attività vulcanica e il territorio è quasi completamente eroso.
Volendo fare un paragone tra i vulcani delle Canarie e quelli italiani, il più simile è sicuramente l’Etna, anche se a differenza di quest’ultimo i primi non hanno un edificio centrale ben evidente, fatta eccezione per il Teide.
A La Palma, dove è presente il vulcano di Cumbre Vieja, i centri eruttivi possono aprirsi in qualunque punto della parte mediana dell’isola. Nonostante il nome, che tradotto significa “Vecchia Montagna”, di fatto non esiste una montagna ma un insieme di campi vulcanici con tanti piccoli coni che originano eruzioni individuali.
Questa è una caratteristica comune a molte isole vulcaniche dove non sono presenti edifici evidenti come quelli del Vesuvio, di Stromboli o dell’Etna.
Che tipo di relazione lega la popolazione de La Palma al vulcanismo dell’isola?
Nella mitologia della popolazione presente sull’isola prima della conquista degli spagnoli, quella dei Guanci, di origine berbera del nord Africa, troviamo diverse divinità legate al vulcanismo, il che denota nel passato un legame forte che affonda le proprie radici nella preistoria.
Attualmente gli abitanti delle Canarie sono legati culturalmente al vulcanismo ma, a differenza di ciò che accade in Italia con l’Etna e lo Stromboli, la cui attività è visibile e persistente, lì le isole attive hanno una, massimo due, eruzioni ogni secolo.
Ecco perché l'eruzione ha colto molti alla sprovvista: l’ultima attività eruttiva del Cumbre Vieja era avvenuta nel 1971 e, sebbene alcuni degli abitanti di La Palma la ricordino, per la maggior parte degli isolani l’evento recente è stato vissuto come qualcosa di nuovo.
Penso che i tempi intercorsi tra le eruzioni precedenti, lunghi in termini di vita umana, concorrano a far sottostimare la percezione del rischio vulcanico da parte di molti.
Che tipo di vulcano è il Cumbre Vieja?
Nell’immaginario comune un vulcano è rappresentato da un cono esterno tronco ma il Cumbre Vieja ha una struttura differente, tipica degli hotspot delle isole oceaniche.
Non è presente un edificio centrale, bensì un allineamento di crateri, formati negli ultimi milioni di anni, dove sono frequenti i cosiddetti vulcani monogenici, piccoli coni che si formano durante una eruzione e poi non si attivano più.
Anche a Tenerife, dove è presente un edificio centrale molto evidente e famoso, il Teide, che è anche il vulcano più alto d’Europa, la maggior parte delle eruzioni storiche e preistoriche sono avvenute relativamente lontano, in zone laterali simili come caratteristiche all’eruzione recentemente avvenuta a La Palma.
Qual è stata la sua esperienza presso l’INGV?
Ho iniziato a lavorare all’INGV subito dopo il dottorato, e immediatamente mi sono trovato alle prese con l’emergenza dello Stromboli del 2003. Per me l’INGV è stata una scuola, una palestra fondamentale per la formazione scientifica e per apprendere la gestione delle emergenze vulcaniche. Ho lavorato per l’Istituto fino al 2016, ma tutt’ora collaboro strettamente con i colleghi dell’INGV, presenti anche qui a La Palma per studiare l’eruzione iniziata lo scorso settembre, che, dal punto di vista scientifico, si è rivelata molto interessante.
Che tipo di ente è l’INVOLCAN?
L’INVOLCAN è un ente di ricerca fondato circa dieci anni fa con l’obiettivo di raggruppare le risorse sulla ricerca vulcanologica e geotermica presenti alle Canarie sotto lo stesso tetto. Questa iniziativa è stata lanciata dal governo dell’Isola di Tenerife che al momento detiene il 100% delle azioni dell’ente, che, sebbene giuridicamente sia una società privata, sotto gli aspetti pratici è pubblico. L’intenzione del governo delle Canarie è di comprare il 60% delle azioni, al quale si sommerebbero i contributi delle isole, ognuna dotata di un proprio governo con poteri economici e politici. Spero che l’INVOLCAN diventi una entità condivisa da diverse componenti politiche e sociali e che anche i diversi ministeri nazionali si uniscano a questa iniziativa per mettere insieme tutte le risorse umane e tecnologiche disponibili per la ricerca vulcanologica e geotermica alle Canarie.
Come trova il sistema di ricerca spagnolo rispetto a quello italiano?
Il sistema della ricerca spagnolo, come quello italiano, è strutturato in diversi livelli: nazionale, regionale e locale. A livello nazionale, però lo trovo più flessibile. In Italia, in genere, i bandi e i progetti sono abbastanza omogenei. In Spagna, invece, trovo che l’opportunità sia variegata; è possibile partecipare a progetti specifici per l’acquisizione di infrastrutture, per la ricerca di punta, per affrontare problemi di ricerca applicata e per rispondere a problemi concreti della società. Inoltre molti progetti sono finalizzati all’acquisizione di risorse umane nazionali e internazionali .
A livello regionale i progetti sono maggiormente rivolti alla ricerca applicata e localmente esistono varie opportunità, come quella offerta dal governo di Tenerife che finanzia progetti legati ai diversi aspetti della ricerca.
Riceviamo finanziamenti non solo per il monitoraggio vulcanico ma anche per l’esplorazione di eventuali risorse geotermiche, per lo studio della qualità dell’ambiente rispetto all’inquinamento dell’aria e finalizzati alla qualità agroalimentare.
Per concludere, qual è il risultato in ambito vulcanologico che lei vorrebbe fosse raggiunto dalla comunità scientifica quanto prima?
Sicuramente l’obiettivo è migliorare la previsione delle eruzioni a lungo termine. Da un lato c’è la vulcanologia, che ci permette di ricostruire la storia vulcanologica di un’isola o di una regione, fornendo così una statistica sul numero di eruzioni avvenute ogni secolo. In questo modo abbiamo degli strumenti per comprendere se una certa regione può essere interessata da un evento e di che tipo. Dall’altro lato, quando il vulcano inizia a mostrare segni di irrequietezza la geofisica e la geochimica ci permettono di comprenderne lo stato.
L’eruzione avvenuta a La Palma ha dimostrato che sebbene i precursori siano stati cortissimi, circa una settimana, la geofisica ha permesso di seguire con gran dettaglio l’evoluzione dei terremoti e la deformazione del suolo permettendo di individuare, anche se con poco preavviso, dove sarebbe avvenuta l’eruzione e le sue caratteristiche. Ciò che manca allo stato attuale è riuscire a comprendere se il vulcano, anche in assenza di segnali macroscopici come terremoti o deformazioni del suolo, si stia avvicinando a una fase eruttiva.
Questa è ancora una sfida che richiede ricerca pura e applicata, oltre che lo sviluppo di tecnologie, ed è di grande interesse non solo per le aree vulcaniche delle Canarie ma anche per i vulcani italiani come Vesuvio e Campi Flegrei, dove è necessario sapere con il maggiore anticipo possibile se si stia entrando in una fase eruttiva. L’ideale sarebbe avere l’informazione qualche anno prima, ma allo stato delle conoscenze e tecnologie attuali ancora non è possibile. Credo sia questo l’obiettivo principale della vulcanologia moderna, riuscire a prevedere le eruzioni molto tempo prima che avvengano.
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