Fig. a) Schema della zona di subduzione di Hikurangi (la linea rossa indica il profilo nel pannello b)
Fig. b) Posizione della perforazione oceanica IODP (linea verde) e della faglia di subduzione (linea rossa)
Fig. c) Come appare il materiale di faglia ricco in argilla.
a) Sketch of Hikurangi subduction zone (red line is the profile shown in panel b).
b) The location of the IODP drilling mission (green line) and the subduction fault (red line).
c) The appearance of the clay-rich fault material.
Fig. a) Zona di subduzione: la stella gialla indica la posizione dove originano i terremoti che possono provocare onde di tsunami.
Fig, b) Ingrandimento al fronte di scorrimento sismico: evoluzione di velocità (linea rossa), sforzo di taglio (linea nera), pressione dell’acqua (linea blu) all’interno della faglia.
a) Subduction zone, the yellow star indicates where tsunami earthquakes might nucleate.
b) Zoom at the front of a propagating earthquake: evolution of seismic velocity (red line), shear stress (black line) and water pressure (blue line) inside the fault.
Analizzati con un nuovo metodo presso i laboratori INGV i sedimenti argillosi provenienti dal margine di subduzione neozelandese di Hikurangi, zona in passato luogo di tsunami e terremoti
I materiali argillosi delle faglie presenti nelle zone di subduzione, cioè dove una placca tettonica scivola al di sotto di un’altra placca, trattengono al loro interno un “cuscinetto d’acqua” e ciò fa sì che essi favoriscano terremoti potenzialmente capaci a provocare tsunami. Questo è il risultato dello studio “Fluid pressurisation and earthquake propagation in the Hikurangi subduction zone”, condotto grazie alla collaborazione tra l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, le Università di Pisa e Padova, e la University College London, su alcuni campioni provenienti dalla zona di Hikurangi in Nuova Zelanda. Il lavoro è stato pubblicato di ‘Nature Communications’.
“Nelle zone di subduzione” spiega Stefano Aretusini, ricercatore dell’INGV e primo autore dello studio, “lo scivolamento sismico che avviene a profondità crostali ridotte può portare alla generazione di tsunami e terremoti. A causa delle difficoltà sperimentali nel deformare i materiali presenti in queste aree, i processi fisici che riducono la resistenza della spinta cui è sottoposta la faglia sono poco conosciuti. Analizzando in laboratorio il comportamento dei campioni prelevati nella zona di subduzione di Hikurangi”, prosegue il ricercatore, “abbiamo scoperto che le argille presenti tendono ad avere una bassa resistenza alle spinte sismiche a causa dell’acqua in pressione che trattengono al loro interno”.
Per studiare il comportamento di queste argille provenienti dalla faglia i ricercatori hanno condotto degli esperimenti sui numerosi campioni raccolti durante la campagna internazionale di perforazione “Integrated Ocean Drilling Program 375” effettuata nel 2018 a largo dell’Isola Nord della Nuova Zelanda, a cui ha partecipato la professoressa Francesca Meneghini dell’Università di Pisa, seconda autrice del lavoro pubblicato.
In dettaglio, sono stati polverizzati i campioni delle rocce presenti all’interno della faglia.
Le polveri sono state testate nel Laboratorio Alta Pressione e Alte Temperature (HP-HT) dell’INGV attraverso un sofisticato apparato, SHIVA (Slow to High Velocity Apparatus) finanziato dall’European Research Council su un progetto di Giulio Di Toro, dell’Università di Padova e co-autore di questo studio, e riproduce il “motore” dei terremoti (la faglia) permettendo di osservare quello che accade all’interno della crosta terrestre e le deformazioni subite dalla roccia sotto fortissime pressioni. All’interno di SHIVA, le polveri sono state analizzate attraverso un nuovo metodo che ha consentito di trattenere al loro interno l’acqua mentre erano deformate alle velocità tipiche dei terremoti.
Attraverso i test di controllo condotti su un materiale le cui caratteristiche sono note, una polvere di marmo di Carrara, i ricercatori sono arrivati alla conclusione che queste argille favoriscono lo scorrimento sismico della faglia proprio a causa della loro capacità di trattenere acqua, caratteristica che le rende più ‘deboli’.
“Quando ho deciso di partecipare alla spedizione oceanografica”, racconta Francesca Meneghini, “ho subito contattato i colleghi dell’INGV e dell’Università di Padova, coi quali collaboro da anni, certa che fosse un’opportunità unica per testare la nuova tecnica sperimentale sviluppata all’Istituto e dare un ulteriore contributo alla nostra conoscenza dei fenomeni sismici”.
“I successivi sviluppi di questa ricerca”, conclude Stefano Aretusini, “saranno quelli di analizzare con lo stesso metodo anche altri tipi di materiali campionati durante la missione per cercare di comprendere quali tra essi possono favorire il processo di scuotimento sismico una volta arrivati alla zona di subduzione”.
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From the seas of New Zealand an important discovery on the relationship between clayey materials and earthquakes
Clayey sediments from the Hikurangi subduction margin in New Zealand analyzed with a new method. The area in the past was the site of tsunamis and earthquakes.
The clayey materials of the faults present in the subduction areas, that is, where a tectonic plate slides under another plate, retain a "water buffer" inside them. This means that they favor earthquakes potentially capable of causing tsunamis. This is the result of the study "Fluid pressurization and earthquake propagation in the Hikurangi subduction zone" conducted thanks to the collaboration between the Italian Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, the Universities of Pisa and Padua, and the University College London, on some samples from the Hikurangi area in New Zealand. The work was published in Nature Communications.
“In subduction zones", explains Stefano Aretusini, researcher at INGV and first author of the study, "the seismic sliding that occurs at shallow crustal depths can lead to the generation of tsunamis and earthquakes. Due to the experimental difficulties in deforming the materials present in these areas, the physical processes that reduce the resistance of the thrust to which the fault is subjected are poorly understood. Analyzing in the laboratory the behavior of the samples taken in the Hikurangi subduction zone”, continues the researcher, “we discovered that the clays present tend to have a low resistance to seismic movement due to the pressurized water they retain inside".
To study the behavior of these clays coming from the fault, the researchers conducted experiments on the samples collected during the international drilling mission "Integrated Ocean Drilling Program 375" carried out in 2018 off the North Island of New Zealand, attended by Professor Francesca Meneghini of the University of Pisa, second author of the published work.
In detail the samples of the rocks present inside the fault have been pulverized. The powders have been tested in the High Pressure and High Temperature (HP-HT) Laboratory of the INGV through a sophisticated apparatus, SHIVA (Slow to High Velocity Apparatus), funded by the European Research Council on a project by Giulio Di Toro, from University of Padua and co-author of this study, and reproduces the "engine" of earthquakes (the fault) allowing to observe what happens to the interior of the earth's crust, with the deformations that the rock undergoes under high pressures.
Inside SHIVA, the powders have been analyzed using a new method to retain the water inside them while they are deformed at the typical speeds of earthquakes".
Through the control tests conducted on a material whose characteristics are known, a Carrara marble powder, the researchers came to the conclusion that these clays favor the seismic slip of the fault precisely because of their ability to retain water, a characteristic that makes them 'weak'.
“When I decided to participate in the oceanographic expedition”, says Francesca Meneghini, "I immediately contacted my colleagues from INGV and the University of Padua, with whom I have been collaborating for years. I was sure it was a unique opportunity to test the new experimental technique developed at the Institute and make a further contribution to our knowledge of seismic phenomena”.
“The subsequent developments of this research”, concludes Stefano Aretusini, “will be to analyze with the same method also other types of materials sampled during the mission to try to understand which of them can favor earthquake slip once they are transported into the subduction zone”.