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Un team internazionale con ricercatori dell’Università di Palermo e dell’INGV ha indagato il vulcanismo islandese per acquisire informazioni sul meccanismo di risalita dei magmi profondi

Conoscere le dinamiche di risalita dei magmi nelle porzioni più profonde dei sistemi di alimentazioni dei vulcani islandesi, per comprendere i processi pre- e sin-eruttivi e per il monitoraggio futuro delle attività vulcaniche.
Questo lo scopo dello studio Rapid shifting of a deep magmatic source at Fagradalsfjall volcano, Iceland” appena pubblicato sulla rivista Nature. Alla ricerca, incentrata sullo studio delle lave e dei gas emessi dall’eruzione vulcanica islandese del Fagradalsfjall nel 2021, hanno partecipato il Prof. Alessandro Aiuppa e il Dott. Marcello Bitetto del Dipartimento di Scienze della Terra e del Mare dell’Università degli Studi di Palermo (UniPA), e il Dott. Gaetano Giudice dell’Osservatorio Etneo dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV-OE).
Il vulcano Fagradalsfjall si trova sulla penisola di Reykjanes, a circa 40 chilometri da Reykjavík, in Islanda. Negli ultimi 3000 anni l’attività vulcanica nella penisola di Reykjanes è stata caratterizzata da periodi eruttivi di circa 200–300 anni, solitamente separati da 800–1000 anni di quiescenza. L'eruzione del 2021, iniziata il 19 marzo dopo circa 800 anni di riposo, è stata preceduta da settimane di elevata attività sismica e deformazione del suolo, ed è stata caratterizzata da una iniziale attività effusiva che, in seguito, si è evoluta in un’intensa attività di fontane di lava.
La ricerca, guidata da Sæmundur Halldórsson dell’Institute of Earth Sciences della University of Iceland, ha esaminato la lava e i gas vulcanici emessi durante i primi 50 giorni dell'eruzione. Queste analisi hanno rivelato come, in maniera insolita per il vulcanismo islandese, i magmi coinvolti nell’eruzione siano stati direttamente drenati da eccezionali profondità, in corrispondenza della discontinuità (cd. Moho) che segna il passaggio fra crosta terrestre e mantello. Gli scienziati hanno notato che la composizione chimica delle lave eruttate hanno mostrato una rapida evoluzione temporale. Durante le fasi iniziali dell'eruzione, l’applicazione delle tecniche geo-barometriche indicava che la lava proveniva prevalentemente da un’area localizzata all'interfaccia tra crosta e mantello. Tuttavia, nelle settimane successive, la composizione dei magmi è cambiata indicando un’origine dei magmi a profondità superiori. Questi risultati dimostrano che la zona di stoccaggio del magma vicino alla Moho è un ambiente estremamente dinamico, ove magmi con caratteristiche differenti si miscelano su scale temporali incredibilmente brevi (da giorni a settimane), e più rapide di quanto precedentemente ritenuto.

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