Uno studio recentemente pubblicato su Tectonics e condotto dall’INGV e dalle Università Sapienza e Roma Tre ha evidenziato un nuovo potenziale indicatore basato sulle caratteristiche geometriche delle particelle che costituiscono le rocce. Il modello consentirà di definire con maggiore precisione l’età e le trasformazioni geologiche dei bacini sedimentari
Una collaborazione tra ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), della Sapienza Università di Roma e dell’Università Roma Tre ha permesso di sviluppare un modello innovativo per ricostruire l’evoluzione delle catene montuose.
È quanto emerge dallo studio “Magnetic fabric as a marker of thermal maturity in sedimentary basins: A new approach for reconstructing the tectono‐thermal evolution of fold‐and‐ thrust‐belts”, recentemente pubblicato sulla rivista scientifica ‘Tectonics’.
Per stabilire l’età e le trasformazioni delle catene montuose, i geo-scienziati prendono in esame la maturità termica dei sedimenti, ovvero il riscaldamento cui le rocce e in particolare alcuni indicatori in esse presenti - come i minerali delle argille e i frustoli di legno - sono stati sottoposti nel tempo geologico.
“La maturità termica dei sedimenti riflette il grado di evoluzione della materia organica e le trasformazioni dei minerali argillosi durante la diagenesi da seppellimento”, spiega Chiara Caricchi, ricercatrice dell’INGV e prima autrice dell’articolo. “Tale maturità termica è influenzata da fattori come temperatura e tempo, ed è un concetto fondamentale per comprendere la formazione di risorse energetiche come il petrolio e il gas naturale”.
La diagenesi è un processo geologico che coinvolge i cambiamenti chimici, fisici e biologici che i sedimenti subiscono dopo la loro deposizione e prima della loro litificazione, ovvero la loro trasformazione in roccia. Questo processo avviene a temperature relativamente basse (fino a circa 200 °C) e a pressioni moderate (2-3 bar), e può durare milioni di anni.
L’affidabilità di una ricostruzione dell’evoluzione delle catene montuose dipende dal numero di indicatori termici utilizzabili, che non sono sempre disponibili.
I ricercatori di INGV, Sapienza e Roma Tre hanno individuato un nuovo potenziale indicatore basato sulle caratteristiche geometriche delle particelle che costituiscono una roccia e le loro relazioni di orientamento reciproco. Queste informazioni si ottengono a partire da una proprietà, la cosiddetta “anisotropia della suscettibilità magnetica” (AMS), che si riferisce alla tendenza dei minerali a predisporsi prevalentemente in piani perpendicolari alla direzione di deposizione e successiva compattazione dei sedimenti. Un processo che avviene quando i sedimenti vengono progressivamente ricoperti da altri depositi più recenti e poi portati in profondità nella crosta, dove sono soggetti a temperature e pressioni crescenti, per poi riemergere in superficie durante la formazione delle catene montuose.
“Le nostre analisi si prefiggono di rispondere alla domanda ‘Fino a che profondità sono stati sepolti i sedimenti analizzati prima di essere riportati in superficie dalla formazione degli Appennini?’, ovvero ‘A quali massime temperature sono stati sottoposti?”, spiega Leonardo Sagnotti, ricercatore dell’INGV e co-autore dell’articolo. “L’AMS è una proprietà che si misura nei laboratori di paleomagnetismo con strumentazione dedicata e che mette in relazione la variabilità della suscettività magnetica con la direzione in cui essa viene misurata, che dipende - a sua volta - dall’orientazione preferenziale dei minerali che costituiscono il sedimento”.
“Il nostro studio si è concentrato nell’Appennino settentrionale, in un’area compresa tra Umbria e Toscana, dove abbiamo prelevato campioni di sedimenti tra loro coerenti per le analisi di AMS e diffrazione a raggi X”, aggiunge Luca Aldega, ricercatore di Sapienza Università Sapienza di Roma e co-autore dell’articolo. “I dati delle analisi indicano che l’AMS di questi sedimenti argillosi può essere messa in diretta correlazione con i processi di deposizione e compattazione, come suggeriscono gli indicatori di maturità termica, riflettendo così l’evoluzione dei sedimenti durante il seppellimento sedimentario e/o tettonico”.
“Questa osservazione ci ha permesso di calibrare un modello basato su una correlazione lineare tra il parametro AMS e gli indicatori paleotermici che può essere applicato con successo per definire i livelli di maturità termica nei bacini sedimentari, superando le limitazioni dei metodi classici e vincolando su scala temporale le condizioni di diagenesi delle successioni sedimentarie”, evidenzia Massimo Mattei, ricercatore dell’Università Roma Tre e co-autore dell’articolo.
Ulteriori ricerche future in questa direzione potranno essere utili per migliorare la definizione della correlazione in caso di stadi di maturità termica avanzata e in successioni sedimentarie altamente deformate.
Link utili:
Fig. 1 a) Esempio di depositi analizzati nello studio b) campionamento per analisi della mineralogia delle argille, c) frustoli legnosi, d) campionamento per analisi di anisotropia della suscettività magnetica.
Fig.2 Correlazione tra Foliazione (parametro AMS) e gli indicatori paleotermici che può essere applicato per definire i livelli di maturità termica nei bacini sedimentari