Piccoli o enormi, dal colore in grado di coprire praticamente tutte le sfumature di turchese. I laghi craterici sono tra i fenomeni più affascinanti che possono vantare i vulcani. Specchi d’acqua suggestivi, che si estendono a perdita d’occhio in depressioni vastissime o che colmano bacini perfettamente circolari, in collina oppure sulle vette dei vulcani più alti.
Ma questi laghi si formano davvero solamente sui vulcani? E sono pericolosi? Per rispondere a queste e ad altre domande abbiamo fatto due chiacchiere con Dmitri Rouwet, vulcanologo dell’INGV e grande appassionato di queste suggestive manifestazioni, che ci ha guidati alla scoperta dei laghi craterici più famosi del mondo.
Dmitri, cosa si intende per “laghi craterici”?
Come è facilmente intuibile dal nome, si tratta di laghi che si formano all’interno di crateri. A dispetto di quanto si potrebbe pensare, però, non tutti i laghi craterici sono laghi vulcanici (pensiamo ai laghi che si formano nei crateri prodotti da impatti di meteoriti, ad esempio), e viceversa.
Come si formano, quindi?
Tralasciando l’esempio del meteorite che ho appena fatto, solitamente questi laghi si formano a partire da eruzioni vulcaniche che creano un cratere perfetto, un buco, che viene poi riempito dall’acqua piovana. Spesso troviamo questi laghi sulla cima dei vulcani, a riempire il cratere principale dell’edificio vulcanico, ma anche in questo caso non si tratta di una regola aurea, esistono delle eccezioni. Pensiamo al lago Albano, alle porte di Roma: è un lago vulcanico, ma non si trova esattamente sulla sommità del vulcano. Tuttavia è considerato un lago craterico poiché il bacino in cui si è formato è, effettivamente, uno dei crateri del vulcano.
I laghi vulcanici non craterici, invece, possono formarsi anche sui fianchi di un vulcano, o comunque in un’area vulcanica che non è necessariamente il cratere: un esempio è quello delle colate di lava che ‘chiudono’ le vallate (come se fossero delle vere e proprie dighe) consentendo la formazione di uno specchio d’acqua.
Pensiamo, poi, ai laghi che si trovano nei maar, ovvero all’interno di cavità originate da eruzioni in aree come i campi vulcanici monogenetici. Questi ambienti sono particolarmente adatti alla formazione di laghi poiché le eruzioni che danno origine ai crateri non generano dei coni vulcanici, ma solo delle depressioni, dei buchi nel terreno che arrivano fino alla falda acquifera sottostante che, a sua volta, dà forma al bacino lacustre.
Va in ogni caso ricordato, per quanto banale possa sembrare, che questi laghi si formano solo dove c’è ampia disponibilità di acqua, che sia essa piovana o proveniente da una falda: in aree in cui non si verifica nessuna di queste due condizioni, i crateri non riescono a riempirsi e, quindi, non ci sarà alcun lago craterico.
Che informazioni possono darci i laghi craterici sui vulcani sottostanti?
Direi molte, ed è proprio questo aspetto a renderli particolarmente importanti e interessanti. Alcuni di essi, infatti, ci permettono di guardare dentro la falda acquifera al di sotto di un vulcano, offrendoci una ‘finestra’ all’interno del vulcano stesso. E questo vale sia per i vulcani attivi (pensiamo ai sistemi idrotermali), sia per i maar. Anziché perforare un pozzo, quindi, ai ricercatori è sufficiente prelevare dei campioni di acqua dal lago: logisticamente è un vantaggio enorme!
Esistono poi vari scenari possibili: si possono analizzare, ad esempio, dei laghi craterici situati sulla cima di vulcani attivi che degassano, e in questo caso le acque lacustri assorbiranno quasi tutto ciò che viene emesso dal vulcano. Monitorare e studiare, nel tempo, campioni di queste acque consente a noi ricercatori di seguire costantemente il comportamento e lo stato del vulcano sotto il lago.
In generale, poi, possiamo dire che più è attivo un vulcano, più frequentemente andrebbero fatti campionamenti e analisi delle acque del lago craterico situato sulla sua sommità.
La presenza dei laghi craterici, quindi, non è collegata direttamente allo stato di attività del vulcano?
No, questi laghi possono formarsi tanto su vulcani attivi quanto su vulcani spenti o quiescenti. Tutto dipende, come dicevo prima, dalla quantità di acqua disponibile. Pensiamo al cratere della Fossa di Vulcano, alle Isole Eolie: sarebbe un bacino perfetto per la formazione di un lago craterico, tuttavia l’assenza di piogge consistenti (o di falde acquifere sottostanti) non lo permette. Se piovesse di più e se si riuscisse a formare un lago, i gas emessi dalle fumarole potrebbero essere assorbiti dall’acqua e, anziché campionare le fumarole, potremmo prelevare campioni di acqua: la storia che ci racconterebbero i campioni sarebbe pressoché la stessa, col vantaggio che l’acqua preserva un stato di degassamento del vulcano per un periodo variabile a seconda di quanto sia grande il lago e quanto sia ‘spinto’ il degassamento.
I laghi craterici sono pericolosi?
Possono esserlo, sì. Questo perché la combinazione tra magma e acqua genera delle eruzioni potenzialmente esplosive, cosiddette freato-magmatiche. In assenza di magma, invece, si possono generare delle eruzioni di vapore, le eruzioni freatiche vere e proprie, particolarmente comuni nei casi di laghi craterici situati su sistemi vulcanici piuttosto ‘vivaci’. Queste ultime sono molto pericolose e, soprattutto, imprevedibili, molto difficili da monitorare.
Altro caso ancora è quello di eruzioni talmente potenti da “espellere” interamente l’acqua del lago al di fuori del cratere: questa acqua si disperde lungo i fianchi del vulcano e, se è in grandi quantità, può generare dei lahar, ovvero delle colate di fango potenzialmente distruttive.
Un ultimo scenario di pericolosità di questi laghi riguarda, infine, quelli situati su vulcani non attivi ma degassanti (vale a dire che rilasciano costantemente gas in quantità variabili, in particolare anidride carbonica, CO2): in questi casi, se il lago è sufficientemente profondo, la CO2 si può accumulare sul fondo del lago fino a quando giunge a un livello di sovrasaturazione e genera una pressione più alta rispetto a quella esercitata dalla colonna d’acqua sovrastante. Questo può portare, appunto, a un’esplosione che “libera” il gas accumulato sul fondo.
I livelli di gas accumulati sui fondali sono indagabili solamente introducendo in acqua delle sonde e prelevando dei campioni in profondità. L’aspetto interessante è che questi livelli di gas sui fondali possono essere molto elevati anche in casi di laghi che in superficie si mostrano “normali”, silenti. Due esempi sono il lago Albano, vicino Roma, e il lago d’Averno, a Pozzuoli: nel caso del lago Albano, infatti, esistono dei degassamenti di anidride carbonica ben noti, spesso associati a sciami sismici. Fortunatamente, però, in età moderna questi accumuli di CO2 non sono mai stati tali da raggiungere il punto di esplosione.
Evento che, invece, si è verificato nel 1986 al lago Nyos, in Camerun. In quel caso vi fu un rilascio repentino di anidride carbonica che, essendo più densa dell’aria, si fermò all’altezza del terreno scivolando nelle valli intorno al lago e uccidendo circa 1.800 persone per asfissia durante la notte. Lo sconvolgimento gassoso nelle acque del lago portò il bacino a colorarsi di rosso (a causa del ferro depositato sul fondale che venne improvvisamente riportato in superficie dalla CO2 in risalita), ma a parte questo non rimase alcun segno evidente di un’eruzione vulcanica vera e propria: rimasero solo le vittime a testimoniare la pericolosità che può avere un lago vulcanico.
L’evento del lago Nyos ha effettivamente inaugurato una nuova stagione di studio di questi fenomeni che, come abbiamo visto, possono essere perfino letali, con l’obiettivo di conoscerli sempre meglio e di mettere in atto delle azioni di monitoraggio e prevenzione che possano tutelare la vita di chi abita nelle vicinanze di questi laghi. Così facendo si è scoperto che anche il lago Albano è soggetto a dinamiche simili, con l’enorme vantaggio, però, di essere localizzato in una zona climatica tale per cui durante l’inverno le acque superficiali del lago si raffreddano, diventando più dense e scendendo in profondità, così da mescolarsi a quelle più profonde e diluire gli accumuli di anidride carbonica. In questo modo la CO2 non raggiunge mai livelli di saturazione tali da innescare un’esplosione violenta.
Quali sono i laghi craterici più famosi al mondo?
Quelli localizzati nelle zone tropicali, dove le piogge sono sufficienti per riempire i crateri di vulcani attivi. In Indonesia, ad esempio, c’è il Kawah Ijen, che è il lago acido (ovvero situato su un vulcano attivo) più grande del mondo; in Nuova Zelanda il Ruapehu e il White Island, che ha eruttato nel 2019; in Centro America il Santa Ana a El Salvador, El Chichón in Messico, il Poás in Costa Rica (molto attivo tra il 2006 e il 2017 con delle eruzioni freatiche); in Sudamerica alcuni laghi al confine tra Argentina e Cile, il Copahue e il Peteroa.
Inoltre vanno ricordati quelli presenti in Giappone, il lago Yugama del vulcano Kusatsu-Shirane e il lago Yudamari del vulcano Aso: non siamo al tropico ma, viceversa, qui c’è la neve che è comunque un’ottima ricarica meteorica per la formazione dei laghi craterici.
…e in Italia?
Sicuramente il lago Albano, che abbiamo citato più volte. Poi, volendo, la Fangaia, alla Solfatara di Pozzuoli, i due laghi di Monticchio, in Basilicata, e il lago d’Averno ai Campi Flegrei. Nel nostro Paese, a causa della scarsa umidità del clima (che, quindi, non genera piogge sufficientemente copiose) non abbiamo laghi craterici localizzati su vulcani attivi (ad esempio alle Eolie…).
Qual è, per te, il lago craterico scientificamente più interessante tra quelli che hai visitato?
Io ho lavorato sul Poás, in Costa Rica, durante l’ultimo ciclo di eruzioni freatiche, e devo dire che tra quelli attivi è stato quello che più mi ha colpito. Il lavoro sul vulcano con i colleghi del posto è stato molto interessante: abbiamo individuato dei precursori nella chimica dell’acqua, accumulando un bel po’ di dati e di informazioni che saranno fondamentali per elaborare i prossimi sviluppi delle ricerche in questo ambito.
Il primissimo su cui ho lavorato durante il mio dottorato, invece, è stato El Chichón in Messico, che ha un’attività meno ‘vivace’ del Poás ma che presenta altre peculiarità come le sorgenti sul suo fianco che lo rendono a suo modo unico.
…e il più suggestivo?
Il Kawah Ijen (in Indonesia) e il Ruapehu (in Nuova Zelanda) sono davvero dei laghi bellissimi: enormi, maestosi, suggestivi. Delle vere icone per un appassionato come me!
Link di approfondimento sul blog INGVvulcani:
In copertina: Il lago craterico iper-acido più grande al mondo, Kawah Ijen, Java, Indonesia (settembre 2014, foto di Dmitri Rouwet).